martedì 6 novembre 2012

il sano esercizio dell'ultra-violenza


Io sono un fan dell'Ultraviolenza, di quella violenza gratuita, senza senso, fine a se stessa, denigrata ma, allo stesso tempo, morbosamente accettata. Molte volte questa violenza viene usata per attirare un pubblico in cerca di forti emozioni, senza troppo impegno. Di questa mercificazione e denaturazione della violenza, spesso mitigata da facili risate e battute a grana grossa come le tette delle protagoniste dei film (o dei fumetti) che promettono "more gore", sono meno entusiasta. Per me la violenza, l'Ultraviolenza, è un esercizio di stile e non solo un modo per shockare il pubblico.

Di violenza nei fumetti si è parlato da sempre e se ne è parlato a lungo e non sempre questo dialogo a portato soluzioni meno gravi del problema. Mi riferisco al periodo in cui la violenza nei fumetti era bandita. Batman smise di sparare e Cap America lasciava il lavoro sporco alla sua spalla. Questo tabù è ormai caduto e oggi si è arrivati alla spettacolarizzazione della violenza, la sua consacrazione. Batman, Wolverine e The Punishe sono i primi super-eroi a non essere totalmente buoni.

In tempi più recenti, Mark Millar è stato alfiere di questa nuova ondata di sangue e budella grondante dalle pagine patinate dei comic-book. In Giappolandia Ichi the killer e Shamo, ad esempio fanno scuola (ancora insuperato il primo, a mio avviso). Alla fine, quello ultra-violento è diventato un genere e come il new-metal hanno iniziato a farlo tutti.