sabato 7 luglio 2012

Lobotomia (dead of the undead)


Una forte emicrania lo  perseguitava da diverso tempo. Molteplici voci rendevano incoerenti i suoi pensieri. Era allo stremo. Non dormiva e vistose occhiaie cerchiavano i suoi occhi. Occhi che affogavano in un misto di pazzia, paura e orrore. Si guardava allo specchio, il suo sguardo si spense e non ebbe bisogno di ulteriori indugi, spense ogni stimolo esterno, isolando le voci che urlavano e scalpitavano chiuse in quella gabbia mentale. Aprì il cassetto e quando ebbe in mano il freddo metallo della sua 9 millimetri lo soppesò un attimo, poggiandoselo sulle gambe. La soluzione definitiva. La cura per il male che lo affliggeva era li, tra le sue mani, rinchiuso in una capsula di rame azionata da un micidiale meccanismo.



Rumore sordo e di nuovo il silenzio.
Silenzio finalmente.
Anche nella sua testa.

Dal cranio scoperchiato usciva una mano umana, si muoveva come a cercare di afferrare qualcosa, mentre il corpo del suo ospite giaceva a terra riversando copiose quantità di sangue sul pavimento.

mercoledì 4 luglio 2012

in ritardo, Davvero


In ritardo come il mestruo di una ragazza isterica scrivo anche io qualcosa su Davvero la Web impresa tirata su da Paola Barbato. Dico in ritardo perché ormai sta per chiudere l'avventura on-line per passare, a Novembre, al formato cartaceo. Dico mestruo per la vignetta di Officina Infernale.

Onestamente io apprezzo il lavoro della Barbato sia come sceneggiatrice di Dylan Dog, sia come giallista e naturalmente sono rimasto sorpreso e alquanto perplesso all'annuncio di una sua Web-serie classificata (ma poi ritratta) come "shojo manga all'italiana". Non conosco gli shojo ma leggo abbastanza manga da aver provato un brivido di terrore a sentire quel termine usato da una giallista tendente all'horror come la Barbato (ma soprattutto da una sceneggiatrice affermata, insomma non la credevo capace di appropriarsi di un termine abusato che significa tutto o anche niente secondo da chi lo usa e in che contesto viene usato).

Davvero è un suo progetto personale ed è un fumetto che è stato pensato per essere un fumetto per ragazze (forse da qui il termine "shojo"). Da quanto ho capito Paola Barbato è una "sceneggiatrice per caso", essendo prevalentemente una scrittrice approdata in casa Bonelli dopo aver proposto un paio di racconti come soggetti. Naturalmente ha avuto a disposizione una decina d'anni di storie Dylaniate per affinare l'arte della narrazione sequenziale e quindi non la si può certo chiamare un'esordiente o una dilettante. Mentre esordienti e dilettanti sono i disegnatori e coloristi coinvolti nel progetto. Non tutti, ma per la maggior parte.
Tramite un tam-tam su internet (prevalentemente su Facebook), la Barbato ha raccolto per il suo progetto un buon numero di volontari. Partito come appuntamento settimanale si è ben presto trasformato in un doppio appuntamento per settimana.

Ammetto di aver letto solo le prime puntate all'inizio, visto che il tema trattato non lo trovavo interessante, solo ultimamente sono andato a recuperare gli aggiornamenti; dopo la recensione di "fumetti brutti". Ho trovato più interessanti certi commenti che non la storia in se. Interessanti perché molti criticavano la verosimiglianza con la vita reale (andando a fare i conti in tasca a Martina, l'odiata  protagonista della serie) mentre altri si concentravano sulla qualità dei disegni.
Molte delle critiche sono state mosse a questo progetto per via della fama della Barbato e del fatto che per lei fosse facile attirare a se giovani volenterosi di farsi un nome o solo di farsi notare affiancando il loro nome a quello della Barbato. Altre critiche erano sulla discordanza del proclama che presentava Davvero come un progetto di fumetto realistico e innovativo, tralasciando quelle che accusavano dell'uso inappropriato del termine "shojo".
Nonostante tutto però il passaggio dal Web alla carta era, a mio avviso, prevedibile e anzi mi chiedo come mai non sia stato presentato direttamente dalla Bonelli. Anche se, a dire il vero, motivi ce ne sarebbero 100...
Davvero sarà pubblicato invece dalla Starcomics, casa editrice che prova a fare da contraltare allo strapotere in edicola della Bonelli, sfidandola con lo stesso formato e cercando di attirare a se nomi di rilievo come quello di Lucarelli o Stivaletti, vantandosi di produrre il nuovo made in italy... con risultati poco incoraggianti devo dire, anzi ... sicuramente non sarà Davvero a far cambiare i risultati.

Bisogna ammettere però che Davvero potrebbe essere visto come shojo. In un certo senso. Lasciando da parte i disegni, che di manga, a parte un episodio, hanno poco. I disegni infatti spaziano dal realismo stile bonelli a quello più disneyano tipo Witch per intenderci. Ma la storia potrebbe essere shojo. Magari non è pensata per le ragazze under16, pubblico un po ostico da coinvolgere in simili progetti e manca della componente fantastica che contraddistingue questo genere di produzioni nipponiche però ha qualche ingrediente che potrebbe dare motivo ad una simile definizione (ripeto, ritrattata) cioè amori giovani, un po irrequieti e equivoci. Sono di più, comunque, i punti che distanziano Davvero da uno Shojo o anche da qualcosa di simile, ibrido.

Il discorso Shojo è molto ampio, ben più ampio del discorso fattibile su Davvero. Alla fine risulta un esperimento riuscito anche se non gradito o acclamato all'unanimità. Certamente non è l'alba di un nuovo giorno per il fumetto italiano ma neppure il colpo di grazia. Bisogna riconoscere che Davvero ha dato la possibilità di apparire a un nugolo di aspiranti fumettisti e di confrontarsi con una produzione organizzata anche se a livello di autoproduzione, cosa da non sottovalutare. D'altra parte si è dimostrato che discorsi sul lavorare gratis o solo per progetti in cui si crede lasciano il tempo che trovano quando si ha la possibilità di partecipare ad un progetto di sicura diffusione e spinto da nomi di un certo peso nel fumetomondo. Magari questi esordienti resteranno passivi e non propositivi, operai del fumetto abituati ad essere gestiti e non a gestire e questo sarebbe brutto. Davvero!

domenica 1 luglio 2012

R2


Su R2 c'è un bar, il NEON, che non è un bel posto ma c'è la fila per entrare. Li le ragazze cercano chimiche emozioni, altre sguinzagliano i loro ferormoni potenziati. Scimmioni tengono a bada gli ormoni scatenati.
Ogni sera musica e luci, paura e desiderio aspettano l'alba per sciogliersi nell'abbraccio di un sole che ripudiano, di un giorno uguale ad ogni altro precedente, passato e futuro.
Chi ci specula, sgomita per una fetta di quel lucroso mercato di cui il Neon è la piazza principale.

Il Neon Bar è famoso anche per un'altra particolare attrazione. Non di rado, infatti, nel suo palco si esibisce P(...) una giovane, bellissima e altrettanto talentuosa cantante che viene venerata, corteggiata e viziata come una dea dai suoi ammiratori che possono essere addirittura classificati come fanatici seguaci, fedelissimi e totalmente stregati dalla sua voce e dalla sua presenza.
Praticamente il Neon è l'unico posto dove si esibisce in pubblico altrimenti i suoi ammiratori si devono accontentare di vederla sugli schermi pubblici. Qualche volta può capitare di vederla seduta in qualche privè circondata dai suoi ammiratori, i pochi a cui concede di avvicinarsi, e dalle sue amiche-ancelle, le sue vere guardie del corpo. Per molti P è solo una leggenda urbana, solo una pubblicità di un locale troppo elitario per essere accessibile a tutti.

(omissis)

Nessuno è a conoscenza della sua natura ferina che scatena al servizio di H (...) della quale è il braccio armato. La sua vita è sempre stata facile. Adorata come cantante, temuta e rispettata come guerriera, fino a quando su R2 e nella sua vita non apparve NW(nightwish). La sua misteriosa apparizione in città sconvolse le gerarchie, infiltrando panico la dove c'era sicurezza. L'ultima mossa di NW era stata quella di fornire ad una giornalista, forse l'unica che non era nel libro paga della Logia (?)


Questa specie di cosa l'ho scritta circa nel 2003, quando avevo in mente di dare concretezza alle folle che si accalcavano nella mia testa. L'intento era quello di incanalare il mezzo espressivo scrittura in qualcosa di senso compiuto. Senso che sinceramente non riesco a trovare in queste cose.